ETIMOLOGIA E SIGNIFICATO DI "HACKER"


Un hacker è una persona che si impegna nell'affrontare sfide intellettuali per aggirare o superare creativamente le limitazioni che le vengono imposte, in primo luogo nei suoi ambienti di interesse, che solitamente comprendono l'informatica o l'ingegneria elettronica. Esiste peraltro un luogo comune, utilizzato soprattutto dai media, per cui il termine hacker viene associato ai criminali informatici (la cui corretta definizione è cracker).

A prescindere dall'ampiezza della definizione, la maggioranza degli odierni hacker ne fa risalire l'etimologia al MIT (Massachusetts Institute of Technology), dove il termine fece la sua comparsa nel gergo studentesco all'inizio degli anni '50; per quanti frequentavano l'istituto in quegli anni, il termine "hack" veniva usato con un significato analogo a quello dell'odierno "goof" (scemenza, goliardata).. ed era implicito nella definizione di "hack" lo spirito di un divertimento creativo e innocuo. È a tale spirito che s'ispirava il gerundio del termine: "hacking".
Più avanti negli anni '50, vigeva un elevato livello di competizione e l'attività di hacking emerse sia come reazione sia come estensione di una tale cultura competitiva. Goliardate e burle varie divennero tutt'a un tratto un modo per scaricare la tensione accumulata, per prendere in giro l'amministrazione del campus, per dare spazio a quei pensieri e comportamenti creativi repressi dal rigoroso percorso di studio dell'istituto. La combinazione tra divertimento creativo ed esplorazioni senza limiti costituirà la base per le future mutazioni del termine hacking.

Sul finire degli anni '50, "To hack" non indicava più l'attività di saldare circuiti dalle strane sembianze, bensì quella di comporre insieme vari programmi, con poco rispetto per quei metodi o procedure usati nella scrittura del software "ufficiale". Significava inoltre migliorare l'efficienza e la velocità del software già esistente che tendeva a ingolfare le risorse della macchina. Ed è qui che successivamente si colloca una diversa radice del termine hacker, la forma sostantiva del verbo inglese "to hack" che significa "tagliare", "sfrondare", "sminuzzare", "ridurre", "aprirsi un varco", appunto fra le righe di codice che istruiscono i programmi software. Un hacker era quindi "chi" riduceva la complessità e la lunghezza del codice sorgente, con un "hack", appunto, una procedura grossolana ma efficace, che potrebbe essere tradotta in italiano come "zappata" o altrimenti con una "furbata".

Nella seconda metà degli anni '70 il termine "hacker" aveva assunto la connotazione di "élite". In senso generale, computer hacker era chiunque scrivesse il codice software per il solo gusto di riuscirci. In senso specifico, indicava abilità nella programmazione. Definire hacker un collega programmatore costituiva un segno di rispetto. Auto-descriversi come hacker rivelava un'enorme fiducia personale. In entrambi i casi, la genericità iniziale dell'appellativo computer-hacker andava diminuendo di pari passo alla maggiore diffusione del computer. Per potersi definire hacker, una persona doveva compiere qualcosa di più che scrivere programmi interessanti.

A partire dai primi anni '80 i computer presero a diffondersi ovunque, e i programmatori che una volta dovevano recarsi presso grandi istituzioni o aziende soltanto per aver accesso alla macchina, improvvisamente si trovarono a stretto contatto con hacker di grande livello via ARPANET. Grazie a questa vicinanza, i comuni programmatori presero ad appropriarsi delle filosofie anarchiche tipiche della cultura hacker di ambiti come quello del MIT. Tuttavia, nel corso di un simile trasferimento di valori andò perduto il tabù culturale originato al MIT contro ogni comportamento malevolo, doloso. Mentre i programmatori più giovani iniziavano a sperimentare le proprie capacità con finalità dannose - creando e disseminando virus, facendo irruzione nei sistemi informatici militari, provocando deliberatamente il blocco di macchine - il termine "hacker" assunse connotati nichilisti.
Quando polizia e imprenditori iniziarono a far risalire quei crimini a un pugno di programmatori rinnegati che citavano a propria difesa frasi di comodo tratte dall'etica hacker, quest'ultimo termine prese ad apparire su quotidiani e riviste in articoli di taglio negativo. Per la maggioranza dei giornalisti "computer hacker" divenne sinonimo di "rapinatore elettronico". Contro l'originale definizione da questo momento si insinua nella conoscenza popolare l'uguaglianza Hacker-Malvivente.
Fonte: Wikipedia

ANCHE GLI HACKER HANNO IL LORO SANTO PROTETTORE


Sant'Espedito è il patrono “non ufficiale” degli hacker

Non è noto, realmente chi fu S. Espedito e nemmeno se sia mai esistito, tuttavia, gli esperti di informatica, gli hacker e coloro che gestiscono siti di e-commerce, lo hanno da tempo scelto all’unanimità come proprio patrono, conquistando, nel corso degli anni, una fama crescente tra il popolo della Rete americano tanto da trasformare la Basilica di "Nostra Signora di Guadalupe" della città di New Orleans - l'unica a possedere la statua del Santo negli Stati Uniti - in una meta di pellegrinaggio per centinaia di internauti.


  • Una leggenda narra che, nel 1781, il corpo di un santo deposto nelle catacombe di Denfert-Rochereau a Parigi venne inviato ad una comunità di suore di New Orleans, le quali vedendo scritto sulla cassa che ne conteneva i resti la parola “Expedite”, ossia rapido, stampata per accelerare le procedure di spedizione, diedero questo nome al martire avviando un culto arrivato sino ai giorni nostri.
  • In base a un’altra leggenda, invece, nel ricevere dalla Francia una serie di statue, i custodi della chiesa di Nostra Signora di Guadalupe di New Orleans, attribuirono il nome di Expedite (sempre dalla scritta impressa sulla cassa che la conteneva) all’unica statua priva di una etichetta. Un secolo e mezzo più tardi si scoprì che non esisteva nessun santo con questo nome.
  • L’origine di un culto ormai diffuso venne allora attribuita a un oscuro martire armeno, “Expeditus” - come lo chiamavano i latini - spesso raffigurato come un giovane centurione romano che, portando una croce con l’iscrizione “oggi” schiaccia con il piede un corvo che porta nel becco l’iscrizione “domani”: un invito a cogliere l’attimo.

Quale sia stata la genesi è a dir poco nota ma sicuramente il richiamo alla velocità ha affascinato, nel corso dei secoli, i fedeli (informatici) di New Orleans tanto da incoronare San Espedito, il loro Santo Protettore.


La Chiesa ha nominato, nel 2002, Sant'Isidoro di Siviglia come protettore “ufficiale” dei programmatori di computer. Un santo che ben si prestava a svolgere il ruolo attribuitogli, dal momento che nel 7° secolo produsse uno dei primi database al mondo, ovvero un’enciclopedia di venti volumi chiamata Etimologia che voleva essere un concentrato di tutto ciò che era noto all’epoca.
(Paola Fontana - Fonte: Wired) da Repubblica - Affari e finanza